Il caso
Il caso, deciso il 10 novembre 2022, traeva origine dal ricorso (n. 25426/20) contro l’Italia, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione e.d.u., da tre cittadini italiani (una madre e i suoi due figli) residenti in Italia.
La prima ricorrente ha agito per sé ed in nome e per conto dei suoi figli, nati dalla sua relazione con G.C.
Nel 2014 la ricorrente aveva lasciato l’abitazione familiare insieme ai figli a causa delle violenze subite da G.C., un soggetto tossicodipendente e alcolizzato.
Il giorno seguente aveva presentato una denuncia penale, rifugiandosi in un centro per vittime di violenza, che aveva informato l’ufficio del pubblico ministero dello stato di emergenza in cui si trovavano i ricorrenti.
Nello stesso anno, il pubblico ministero aveva ritenuto che la situazione di violenza a cui erano esposti i bambini era sufficientemente grave da giustificare una provvedimento urgente che sospendesse la responsabilità genitoriale di G.C. e gli consentisse di incontrarli in un ambiente sicuro.
Il pubblico ministero aveva quindi disposto l’apertura di un procedimento.
Nel 2015 il Tribunale per i minorenni aveva rilevato che G.C. non vedeva i suoi figli da luglio 2014, rilasciandogli il permesso di incontrarli una volta alla settimana in un ambiente “rigorosamente protetto” nei locali dei Servizi sociali della Capitale, alla presenza di uno psicologo.
Quegli incontri non si erano mai tenuti a causa della mancanza di risorse e il tribunale era stato informato di conseguenza.
Il tribunale aveva quindi disposto che gli incontri si svolgessero alla presenza di uno psicologo nel centro di accoglienza in cui si trovava la madre.
Tuttavia, il centro di accoglienza comunicava di non disporre di personale specializzato e di sufficienti risorse finanziarie tali da consentire lo svolgimento in quel luogo degli incontri padre-figlio.
Nel frattempo, la madre ed i suoi figli si erano trasferiti con i genitori di lei, accettando la donna di portare con sé i bambini settimanalmente per consentire lo svolgimento di incontri in condizioni di sicurezza in un altro comune, distante una sessantina di chilometri da casa sua.
Il comune tuttavia aveva informato il Tribunale per i minorenni di non disporre di un luogo idoneo per consentire lo svolgimento degli incontri in un ambiente “rigorosamente protetto”.
Gli incontri si erano quindi svolti senza alcuna misura di protezione, sicchè i bambini erano stati costretti ad assistere al comportamento sprezzante del padre nei confronti della loro madre.
Gli incontri successivi erano stati quindi organizzati alla presenza di un assistente sociale piuttosto che di uno psicologo.
Si erano svolti in vari luoghi del comune, compresa la biblioteca sita nella piazza principale, in una sala del municipio e nella piazza del mercato cittadino.
A più riprese i servizi sociali avevano informato il Tribunale per i minorenni che il padre si era comportato in modo inappropriato con i figli, facendo osservazioni sprezzanti e offensive nei loro confronti all’indirizzo della madre.
Alla fine del 2015, la madre, che nel frattempo aveva trovato lavoro in un negozio, aveva in-formato i servizi sociali di non aver potuto percorrere 120 chilometri per portare i suoi figli agli incontri programmati durante le vacanze di fine anno, ed aveva chiesto che gli incontri fossero organizzati in un ambiente sicuro.
A maggio 2016, essendo stato informato dal comune che la madre non aveva assicurato la presenza dei minori a due incontri con il padre previsti per gennaio 2016, il Tribunale per i minorenni aveva deciso di sospendere la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Il tribunale aveva a tal proposito osservato che la madre si era op-posta agli incontri.
Nel 2016, 2017 e 2018 gli incontri avevano continuato a svolgersi nonostante alcune segnalazioni e comunicazioni al Tribunale per i minorenni da parte dei servizi sociali e del tutore dei minori, circa la minaccia per la sicurezza dei bambini rappresentata dal comportamento aggressivo del padre.
Ad aprile 2018 i servizi sociali avevano sospeso gli incontri in attesa della decisione del Tribunale per i minorenni. Successivamente, nel novembre 2018, il Tribunale – che era stato inoltre informato nel marzo 2018 che l’uomo non aveva frequentato il centro di cura dalle tossicodipendenze dal 25 ottobre 2017 – aveva confermato la sospensione degli incontri tra i bambini ed il padre.
Nel 2019 i servizi sociali avevano informato il Tribunale per i minorenni che l’uomo stava scontando una pena detentiva di sei anni per reati in materia di stupefacenti commessi tra il 1994 e il 2018.
Successivamente, con decisione del 15 maggio 2019, il Tribunale per i minorenni aveva ripristinato la potestà genitoriale della madre e privato invece il padre della responsabilità genitoriale.
A dicembre 2019, la Corte d’appello di Roma aveva confermato tale decisione, osservando come il padre, attraverso il suo comportamento aggressivo, distruttivo e sprezzante durante gli incontri con i bambini, era venuto meno al suo dovere di garantire la salute ed il serneo sviluppo dei minori.
La Corte d’Appello aveva anche osservato che uno dei minori necessitava di trattamento psicologico specializzato. Secondo le più recenti informazioni a disposizione della Corte EDU, infine, il procedimento penale avviato contro l’uomo per maltratta-menti risulta pendente dal 2016.
Il ricorso e le norme violate
Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi, sull’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) e sull’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), i ricorrenti sostenevano di essere stati vittime di violenze domestiche.
Sostenevano che gli incontri con il padre dei bambini non avevano avuto luogo in un ambiente “rigorosamente tutelato” come disposto dal Tribunale per i minorenni e che le mancanze da parte delle autorità li avevano esposti a ulteriori violenze.
Ai sensi degli stessi articoli, la madre, prima ricorrente, lamentava di essere stata qualificata come “genitore non collaborativo” e di essersi vista sospesa di conseguenza la responsabilità genitoriale, per il solo motivo di aver cercato di proteggere i suoi figli, evidenziando il rischio per la loro incolumità.
Aveva quindi sostenuto di essere stata sottoposta a vittimizzazione secondaria.
Il ricorso veniva depositato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 19 giugno 2020.
La decisione della Corte di Strasburgo
La Corte di Strasburgo ha ritenuto che le questioni sollevate nella causa dovevano essere esaminate esclusivamente ai sensi dell’art. 8 della Convenzione.
Per quanto riguarda i minori, la Corte ha rilevato che, nonostante le segnalazioni ricevute, tribunale per i minorenni non era intervenuto per sospendere i contatti fino a novembre 2018.
Per tutto questo tempo i bambini erano stati costretti ad incontrare il padre in un ambiente in-stabile che non favoriva il loro sereno sviluppo, nonostante il tribunale fosse stato avvertito che l’uomo non stava più seguendo il suo programma terapeutico-riabilitativo come tossicodipendente, e che il procedimento penale a suo carico per maltrattamenti era ancora pendente.
Il tribunale per i minorenni, che era stato anche informato che i bambini avevano bisogno di supporto psicologico, non sembrava quindi aver tenuto conto del loro benessere, soprattutto per quanto riguardava gli incontri, in cui i minori erano stati esposti ad assistere come testimoni alle violenze commesse contro la madre e anche alla violenza che avevano sofferto diretta-mente a causa del comportamento aggressivo del padre.
La Corte EDU non ha compreso il motivo per cui il Tribunale per i minorenni, che già nel 2015 aveva ricevuto segnalazioni che negli anni tali atteggiamenti erano stati reiterati, aveva deciso di continuare a disporre gli incontri, nonostante il benessere dei bambini e la loro sicurezza non fossero assicurate.
Il tribunale non aveva in nessuna fase valutato il rischio a cui erano esposti i minori, e non aveva bilanciato gli interessi in conflitto. In particolare, non era emerso dalla motivazione delle sue decisioni che fossero state svolte considerazioni relative alla necessaria prevalenza del superiore interesse dei minori sull’interesse del loro padre a mantenere i contatti ed a continuare gli incontri.
Secondo la Corte di Strasburgo, gli incontri tenutisi dal 2015, che inizialmente si erano svolti in condizioni non conformi alla decisione del Tribunale per i minorenni e, successivamente, in modo non conforme tale da garantire un ambiente protettivo per i bambini, avevano sconvolto il loro stato psicologico ed il loro equilibrio emotivo.
Questo fatto era stato segnalato dai servizi sociali, che avevano ripetutamente informato le autorità, sottolineando la necessità che i bambini ricevessero supporto psicologico.
La Corte EDU ha anche preso atto della sentenza della Corte d’Appello di Roma secondo cui l’uomo, attraverso il suo comportamento aggressivo, distruttivo e sprezzante durante gli incontri, era venuto meno al suo dovere di garantire che i bambini avessero un sviluppo sano e sereno.
Di conseguenza, ha ritenuto che i bambini fossero stati costretti dal 2015 a incontrare il padre in condizioni che non assicuravano un ambiente protettivo e che, nonostante gli sforzi delle autorità in tal senso di mantenere il contatto tra loro ed il padre, il loro migliore interesse a non essere costretti a incontrarsi con lui in tali condizioni era stato disatteso. Si era quindi verificata una violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU nei confronti di entrambi i figli.
Per quanto riguarda la madre, la Corte ha ritenuto che le decisioni dei tribunali italiani che ne avevano sospeso la responsabilità genitoriale non avevano tenuto conto delle difficoltà riguardanti gi incontri e le condizioni di precarietà evidenziate in più occasioni dai vari soggetti coinvolti.
Non si era tenuto conto della situazione di violenza vissuta dalla donna e dai figli, né del procedimento penale pendente nei confronti del padre per maltrattamenti.
Anche la Corte ha rilevato che nel suo rapporto sull’Italia, il GREVIO aveva sottolineato che la sicurezza del genitore non violento e quella dei minori devono essere un fattore centrale quando si decide sull’interesse superiore del bambino in relazione alle modalità di custodia e di visita. Il GREVIO aveva anche osservato che i tribunali nazionali non tenevano conto dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul.
La Corte ha condiviso le preoccupazioni del GREVIO in merito alla sussistenza di una pratica diffusa da parte dei tribunali civili per cui le donne che evocano il problema della violenza domestica come motivo per non partecipare agli incontri tra i propri figli e il loro ex partner e non accettano l’affidamento condiviso o i diritti di visita, vengono considera-te genitori “non collaborativi” e quindi come “madri inadatte”, meritevoli di sanzioni.
Secondo la Corte, i tribunali nazionali non avevano esaminato la situazione della madre con cura ed avevano deciso di sospenderne la responsabilità genitoriale sulla base della sua presunta contrarietà agli incontri e alla genitorialità condivisa con il padre, senza tener conto di tutti gli elementi rilevanti nel caso di specie.
Pertanto, la Corte EDU ha ritenuto che il Tribunale per i minorenni e la Corte d’Appello non avevano fornito motivi adeguati e sufficienti per giustificare la loro decisione di sospendere la responsabilità genitoriale della madre tra maggio 2016 e maggio 2019. Si è pertanto accertata la violazione dell’articolo 8 della Convenzione anche nei confronti della madre dei due minori.
La Corte di Strasburgo, infine, ha condannato l’Italia a corrispondere a titolo di equa soddisfazione ex art. 41 CEDU, congiuntamente ai figli della prima ricorrente, la somma di 7.000 euro a titolo di di danno morale. Ritenendo, invece, che l’accertamento di una violazione costituisse di per sé un sufficiente e giusto risarcimento del danno subito dalla madre, prima ricorrente, non ha liquidato alla donna alcuna somma.
I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi
Di particolare rilievo il tema esaminato dalla decisione emessa dalla Corte di Strasburgo nel ca-so in esame, conclusosi con una “reprimenda” senza precedenti nei confronti della Repubblica Italiana per non aver assicurato alla madre di due minori ed a questi ultimi il rispetto del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dall’art. 8.
Nella decisione di condanna ha indubbiamente “pesato” anche il rapporto redatto dal GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence) nei confronti dell’Italia, organo del Consiglio d’Europa che valuta come gli Stati applicano la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne.
Orbene, secondo il GREVIO, un tema caldissimo che necessita di un esame urgente da parte delle autorità è quello relativo alla determinazione dei diritti di custodia e di visita dei figli, come infatti evidenzia la sentenza qui commentata.
Il Rapporto Grevio sull’Italia sottolinea che, nel nostro Paese, raramente vengono utilizzate le disposizioni previste dalla legge che permettono, nei casi di violenza familiare, di far prevalere il principio dell’interesse superiore del bambino rispetto a quello della genitorialità condivisa.
Esprime particolare preoccupazione per la tendenza nell’attuale sistema italiano ad esporre le madri che tentano di proteggere i figli denunciando la violenza ad una vittimizzazione secondaria.
Dai dati raccolti emerge che i tribunali tendono a forzare le vittime ad incontrare i loro aggressori scendendo a patti con loro sulla custodia dei figli.
Ciò mette a rischio anche i minori coinvolti.
Non solo si tende a non dare peso agli incidenti di violenza, ignorando gli effetti traumatizzanti sui figli, ma addirittura quando una madre denuncia gli abusi come fattore di rischio per i minori, questo si ritorce contro di lei. Viene considerata una tattica per limitare i diritti dei padri.
Il Rapporto Grevio invita l’Italia a “garantire l’applicazione delle disposizioni legali sul reato di maltrattamenti in famiglia, tenendo presente lo specifico carattere di genere della violenza domestica perpetrata contro le donne”.
Il nostro Paese viene poi esortato a garantire che politiche e provvedimenti affrontino qualsiasi azione contro la violenza: prevenzione, protezione, indagini e sanzioni.
Non ultimo l’obbligo di dovuta diligenza enunciato all’articolo 5 della Convenzione.
Devono infine essere adottate misure supplementari affinché le politiche di lotta contro la violenza sulle donne siano globali e integrate, attuate e monitorate attraverso un coordinamento efficace tra le autorità nazionali, regionali e locali.
Del resto, purtroppo non è la prima volta che l’Italia viene coinvolta in episodi di questo genere a Strasburgo, riportando sempre conseguenze assai negative per i diritti negati (R.V. e altri c. Italia, 18 luglio 2019, n. 37748/13, §§ 65-69; Landi c. Italia, 7 aprile 2022, n. 10929/19, §§ 47-49). È utile inoltre una sia pure sintetica rassegna in materia.
La Corte ricorda che la sospensione della potestà genitoriale della ricorrente ha interferito con il suo diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione (mutatis mutandis R.M. c. Lettonia, 9 dicembre 2021, n. 53487/13, § 102).
Tale interferenza viola questo articolo a meno che non sia “prevista dalla legge”, abbia uno o più scopi legittimi ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, e possa essere considerata “necessaria in una società democratica”.
La Corte ricorda inoltre che, per quanto riguarda la vita familiare di un minore, esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – sul fatto che in tutte le decisioni riguardanti i minori, il loro interesse superiore deve essere preminente (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], 10 settembre 2019, n. 37283/13, § 207; Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], 6 luglio 2010, n. 41615/07, § 135; X c. Lettonia [GC], 26 novembre 2013, n. 27853/09, § 96).
Nei casi in cui gli interessi del bambino e dei suoi genitori sono in conflitto, l’articolo 8 richiede alle autorità nazionali di trovare un giusto equilibrio tra tutti questi interessi e, nel farlo, di dare il giusto peso agli interessi del bambino.
Particolare importanza deve infatti essere attribuita all’interesse del minore che, a seconda della sua natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori (si veda, ad esempio, Sommerfeld c. Germania [GC], 8 luglio 2003, n. 31871/96, § 64).
In generale, da un lato, l’interesse superiore del minore impone di mantenere i legami tra lui e la sua famiglia, tranne nei casi in cui la famiglia si sia dimostrata particolarmente indegna: rompere questo legame equivale a tagliare il bambino dalle sue radici.
Di conseguenza, solo circostanze assai eccezionali possono in linea di principio portare alla rottura del legame familiare e si deve fare tutto il possibile per mantenere i rapporti personali e, se necessario, al momento opportuno, “ricostituire” la famiglia (Gnahoré c. Francia, 19 settembre 2000, n. 40031/98, § 59).
D’altra parte, è certo che garantire lo sviluppo del bambino in un ambiente sano fa parte di questo interesse e che l’articolo 8 non può autorizzare un genitore ad adottare misure dannose per la salute e lo sviluppo del minore (si vedano, tra le tante, Neulinger e Shuruk, sopra citate, § 136; Elsholz c. Germania [GC], 13 luglio 2000, n. 25735/94, § 50; Maršálek c. Repubblica Ceca, 4 aprile 2006, n. 8153/04, § 71).
Sebbene l’articolo 8 della Convenzione non contenga requisiti procedurali espliciti, il processo decisionale deve essere equo e deve rispettare adeguatamente gli interessi tutelati da questa disposizione. I genitori devono essere sufficientemente coinvolti nel processo decisionale nel suo complesso per poter ritenere di aver avuto la necessaria tutela dei loro interessi e di aver avuto la piena possibilità di presentare il loro caso.
I tribunali nazionali devono effettuare un esame approfondito dell’intera situazione familiare e di una serie di fattori, compresi quelli fattuali, emotivi, psicologici, materiali e medici, ed effettuare una valutazione equilibrata e ragionevole dei rispettivi interessi di ciascuna parte, con la costante preoccupazione di determinare quale fosse la soluzione migliore per il bambino, una considerazione che è di importanza cruciale in ogni caso. Il margine di apprezzamento lasciato alle autorità nazionali competenti varierà a seconda della natura delle questioni controverse e dell’importanza degli interessi in gioco (Petrov e X c. Russia, 23 ottobre 2018, n. 23608/16, §§ 98- 102).
La Corte inoltre ricorda che il margine di apprezzamento varia a seconda della natura delle questioni e della gravità degli interessi in gioco, come ad esempio, da un lato, l’importanza del-la protezione di una parte (Wunderlich c. Germania, 10 gennaio 2019, n. 18925/15, § 47) e, in secondo luogo, l’obiettivo di riunire la famiglia non appena le circostanze lo consento-no (K. e T. c. Finlandia [GC], 12 luglio 2001, n. 25702/94, § 155; Mohamed Hasan c. Norvegia, 26 aprile 2018, n. 27496/15, § 145).
Per quanto riguarda la protezione dell’integrità fisica e morale di un individuo nei confronti di altri, la Corte ha già affermato che gli obblighi positivi delle autorità – in alcuni casi ai sensi dell’articolo 2 o dell’articolo 3 della Convenzione, e in altri casi ai sensi dell’articolo 8, considerato da solo o in combinazione con l’articolo 3 – possono comportare il dovere di istituire e applicare nella pratica un quadro giuridico appropriato che offra protezione contro gli atti di violenza che possono essere commessi dagli individui (Söderman c. Svezia [GC], 12 novembre 2013, n. 5786/08, § 80).
Per quanto riguarda i minori, che sono particolarmente vulnerabili, le disposizioni stabilite dallo Stato per proteggerli da atti di violenza che rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli 3 e 8 devono essere efficaci e includere misure ragionevoli per prevenire i maltrattamenti di cui le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza, nonché un’efficace prevenzione per proteggere i minori da tali gravi forme di lesioni personali (si veda Söderman, citata sopra, § 81, e nel contesto della violenza domestica si veda Hajduová c. Slovacchia, 30 novembre 2010, n. 2660/03, § 49).
Tali misure devono essere volte a garantire il rispetto della dignità umana e la tutela dell’interesse superiore del minore (C.A.S. e C.S. c. Romania, 20 marzo 2012, n. 26692/05, § 82).
Orbene, nel caso in esame, il tribunale, che era stato anche informato che i bambini dovevano seguire un percorso di sostegno psicologico, non sembrava aver tenuto conto del loro benessere, soprattutto perché questi incontri li esponevano sia ad assistere alle violenze commesse contro la prima ricorrente (mutatis mutandis Eremia c. Repubblica di Moldova, 28 maggio 2013, n. 3564/11, §§ 77-79) sia alle violenze che subivano direttamente a causa dell’aggressione del padre. Da qui, dunque, l’inesorabile giudizio di condanna nei confronti dell’Italia.
Come al solito, adesso il nostro Governo avrà a disposizione tre mesi per chiedere la rimessione alla Grande Camera del caso deciso. Vedremo quale sarà la scelta del nostro Paese.
L’impressione, tuttavia, anche per essere stata adottata la decisione all’unanimità, con il voto favorevole del giudice in rappresentanza dell’Italia, è che non vi siano le condizioni per poter reagire.
Occorre, in ogni caso, che il monito proveniente da Strasburgo e le indicazioni provenienti dal Consiglio d’Europea tramite il GREVIO vengano prontamente recepite dalle nostre autorità.
Esito del ricorso:
Accolto.
Precedenti giurisprudenziali:
Corte e.d.u., R.V. e altri c. Italia, 18 luglio 2019
Corte e.d.u., Landi c. Italia, 7 aprile 2022
Corte e.d.u., R.M. c. Lettonia, 9 dicembre 2021
Corte e.d.u., Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], 10 settembre 2019
Corte e.d.u., Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], 6 lugllio 2010
Corte e.d.u., X c. Lettonia [GC], 26 novembre 2013
Corte e.d.u., Sommerfeld c. Germania [GC], 8 luglio 2003
Corte e.d.u., Gnahoré c. Francia, 19 settembre 2000
Corte e.d.u., Elsholz c. Germania [GC], 13 luglio 2000
Corte e.d.u., Maršálek c. Repubblica Ceca, 4 aprile 2006
Corte e.d.u., Petrov e X c. Russia, 23 ottobre 2018
Corte e.d.u., Wunderlich c. Germania, 10 gennaio 2019
Corte e.d.u., K. e T. c. Finlandia [GC], 12 luglio 2001
Corte e.d.u., Mohamed Hasan c. Norvegia, 26 aprile 2018
Corte e.d.u., Söderman c. Svezia [GC], 12 novembre 2013
Corte e.d.u., Hajduová c. Slovacchia, 30 novembre 2010
Corte e.d.u., C.A.S. e C.S. c. Romania, 20 marzo 2012
Corte e.d.u., Eremia c. Repubblica di Moldova, 28 maggio 2013
Riferimenti normativi:
Art. 8 Convenzione e.d.u.
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Figli costretti a incontri col padre violento: la CEDU condanna l’Italia